Tra i cavalli selvaggi
Un grande viaggio, una grande avventura nella terra di Gengis Khan. Un’attenta e dettagliata preparazione, senza mai arrendersi davanti alle tante difficoltà burocratiche e organizzative ci ha portato nella terra dei cavalli selvaggi
Una telefonata dei nostri autisti dà inizio a quest’avventura straordinaria. Arrivati a Ulan Bator dopo lunghe ore di volo e di scali, dopo una giornata di relativa calma per acclimatarci e respirare la cultura e le usanze locali, finalmente il trillo del cellulare. L’ansia per l’arrivo nei tempi utili dei camion con i nostri quad e utv è palpabile tra noi.
Se i confini russi sono sempre un’incognita, quelli mongoli sono proprio una cosa a parte, e solo quando gli autisti sono entrati in terra mongola abbiamo potuto dire: il primo passo è fatto. Ulan Bator è una città caotica e disorganizzata, un groviglio di strade e cantieri, e se da un lato il fermento della modernità si coglie ad ogni angolo dall’altro gli abitanti sono poco cordiali, quasi diffidenti e lo si nota dal loro sguardo sempre duro.
Attraversare una strada è un rischio in ogni momento, nessuno accenna minimamente a fermarsi o rallentare; sei tu a dover velocizzare il passo per non essere schiacciato e solo quando ti sei assuefatto a questa modalità puoi ammirare le bellezze della città. All’alba l’adrenalina è palpabile; il rumore dei motori si fa più forte, finalmente si parte. Ci dirigiamo al primo distributore lungo l’arteria principale della città. Panico… la benzina locale non ha abbastanza ottani (84). Piccolo dettaglio di cui nessuno ci aveva accennato!
Dopo una veloce consultazione, partiamo alla ricerca dei barattoli di ottani da aggiungere a ogni pieno comprando tutti quelli disponibili in città, ben 1100 confezioni da sistemare sulle nostre Jeep di supporto scorta che deve durare per tutti i 3.000 km del percorso. Il percorso prevede tappe di circa 250 km al giorno, tra montagne di un colore verde brillante e…
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