Emmanuelle Clair: Una febbre che non passa
Quando si è presi dalla febbre dei motori, che siano a due o a quattro ruote poco importa, non si guarisce. Anzi, con il tempo è più probabile che si peggiori
Impossibile distinguerla tra gli altri quad in corsa, né dall’assetto né dalla grinta né dalla velocità. Sempre nel gruppo e mai ultima, mai un attimo di indecisione sulla traiettoria, mai che molli la manopola del “gasss”, come dice lei. L’unica cosa che la distingue dal gruppo degli uomini è il lezioso sfondo rosa della placca con il suo numero: 111.
Una virago? No, una esile graziosissima biondina trentacinquenne, sorridente, cordiale e alla mano. Innamoratissima di suo marito Stéphan Clair, conosciuto nel corso della sua prima Dakar nel 2006, un amore polveroso.
Erano rimasti entrambi a piedi e avevano deciso con un altro gruppo di piloti di seguire la gara. Da lì non hanno mai smesso di farlo insieme. Oggi, dopo la nascita di un bambino, pilota predestinato, dirigono la NPO e sono tra i più grandi organizzatori a livello mondiale di rally, quelli dell’OiLibya Rallye de Tunisie e OiLibya Rallye du Maroc.
Parliamo di rally con diverse centinaia di partecipanti, camion, quad, moto, buggy, mica “pseudo-rally”, come ci dice ammiccando Emmanuelle. Unica donna al mondo ufficiale di gara fuoristrada FIM, decide di assumere questo ruolo dopo che la fanno fuori ingiustamente alla Dakar del 2006 per un’interpretazione sbagliata del regolamento; altri concorrenti dietro di lei fanno ricorso e vengono riammessi, lei paga lo scotto dell’inesperienza.
All’attivo la partecipazione in quad alle più dure gare del mondo, Dakar compresa, qualche vetta mica da ridere come il Kilimangiaro e il Monte Bianco, un passato in pista con la Honda 500. Tenace, di una franchezza un po’ ruvida che stempera sorridendo, è figlia d’arte, sale in moto a cinque anni e non scende
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